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Via degli Dei: un viaggio alla scoperta di me stesso (PARTE I)

Tanto è stato scritto sulla Via degli Dei e tante volte ho provato a mettere nero su bianco i miei pensieri, senza mai riuscirci. È stato troppo difficile condensare le emozioni vissute, senza farmi travolgere. Questo cammino, anzi, questo trekking, ormai pluriesplorato da tantissimi, è talmente unico e personale per ciascuno dei viaggiatori, che stupisce ed affascina in maniera diversa.

Più che i dati prettamente tecnici, che potete trovare ovunque sul web, in questo articolo vorrei condividere quello che ho provato e le forti emozioni vissute. Fare trekking per me significa provare quel senso di energia, gioia e felicità, che vorrei spartire con il mondo intero ogni volta che ne ho la possibilità. Quasi che serva a scrollare e a dire che si sta perdendo un pezzo di vita fondamentale per ritrovare sé stessi.

Prima di cominciare, facciamo un passo indietro e torniamo alla motivazione che serve per intraprendere un trekking del genere.

L’ho fatto per fare il figo? O perchè va di moda?

Assolutamente no. Semplicemente ho intrapreso questo viaggio per mettermi seriamente alla prova con me stesso. A differenza di molte persone, che hanno fatto esperienze on the road fin da ragazzi, io non mi sono mai avventurato in solitaria da qualche parte. Ovviamente, è altrettanto una bella cosa girare in compagnia di amici, quelli veri, su cui fare affidamento, e mi sono sempre sentito fortunato in questo.

Stavolta però no: ho voluto slegarmi e partire.

Lasciare le sicurezze dietro di me.

C’è sempre un variabile lasso di tempo che intercorre tra sognare una cosa, idealizzarla e poi decidere. Almeno per quanto mi riguarda, questo tempo è lunghissimo.

Mi ricordo ancora le settimane calde di luglio 2020, in cui ascoltavo musica nelle orecchie mentre camminavo. Intanto pensavo a cosa avrei fatto nelle settimane successive, a come sarebbe stato, alle difficoltà concrete di fare una cosa del genere, da solo.

Tutto questo mi spaventava e mi entusiasmava allo stesso tempo. Inoltre, a causa del COVID e di come questo abbia fatto variare i progetti di ciascuno di noi, il percorso sarebbe stato ancora più affollato.

Una tenda dunque sarebbe stata d’obbligo per evitare sold out negli ostelli.

Avevo solo il caos in testa, ma sapevo che dovevo affrontarlo e domarlo.

Essendo poi nella fase di transizione tra un lavoro e l’altro, quando mai avrei riavuto di nuovo tutto quel tempo per vivere così intensamente?

Detto. Fatto.

Percorsi e trekking di più giorni di questo genere, in luoghi che non si conoscono, vanno sempre preparati a fondo.

Bisogna dunque cominciare a rimboccarsi le maniche e preparare l’elenco delle cose da portare, ma anche decidere come gestire le tappe e dove è più consigliabile pernottare ogni notte.

Inizio a reperire info sul tracciato da pagine web e libri, mi iscrivo a gruppi Facebook per vedere le esperienze e leggere suggerimenti degli altri camminatori, seguo gli hashtag del percorso su Instagram e mi studio le foto dell’equipment. Sembra una cosa stupida ma moltissimi postavano la loro attrezzatura e da lì ho preso spunto per comprendere anche più o meno il peso che avrei dovuto sostenere sulle spalle.

Un breve check delle cose più importanti da mettere dentro lo zaino: scarpe (Salomon), calze, pantaloncini (3 corti + 1 elephant pant per la notte, perché ideale contro le zanzare ma traspirante), 3 T-shirt, tenda (Bessport da 1 persona – peso 2 kg scarsi), sacco a pelo, frontale, coltellino, ecc…

La partenza

Estate 2020.

Mattino presto.

Sveglia alle 4. Mi alzo incredulo nel vedere la roba già pronta affianco a me. Penso di continuare ancora a sognare, nel rendermi conto che sto veramente per partire per cinque giorni tra boschi, montagne e colline.

Mi comincio a muovere.

Come sembra leggero lo zaino appena lo indossi: è così gestibile. Quanto me ne sarei pentito più avanti!

Il cammino verso la stazione profuma di sacro, di strano, mi sento fuori posto. É ancora notte, l’aria calda sul viso. Arrivato al primo attraversamento pedonale, ho il tempo di osservare quel pezzo di città che si sta lentamente svegliando, i netturbini urbani, alcune persone che girano distratte con la mascherina abbassata.

Mi sento fuori posto.

Entro in stazione…è presto. Mentre attendo il treno, fisso il tabellone con aria assente e riflessiva allo stesso tempo. Mi chiedo quanta gente sarà nella stessa mia situazione e quanti di questi magari potrei conoscere oggi. La cosa mi intriga moltissimo e subito comincia una sorta di preview nella mia mente: in stile The Avengers, in cui io ed altri camminatori appariamo a turno, ciascuno con la sua storia. Mi immagino piani, sequenza dal basso velocizzati, riprese col drone cinematografiche che da un bosco ci inquadrano, mentre camminiamo spavaldi su un sentiero sterrato.

Tutto ad un tratto, una coppia dice: “Mi scusi, il treno per Milano è su questo binario?”. Come sempre accade, la gente mi chiede sempre qualsiasi cosa, dalle informazioni alle foto.

Finalmente arriva il treno, salgo, mi siedo al mio posto. Dopo un po’ tiro fuori un libro, anche se in verità non ho molta voglia di leggere, ma devo tenermi sveglio ed occupato in qualche modo: non vorrei mai perdere la coincidenza per Parma. In breve, mi ritrovo a fissare assente anche il libro: non ero più abituato alle sveglie presto.

Un bambino inizia a tossire qualche posto più in là. Mi tiene sveglio. Mi tiene compagnia.

Primo giorno. Prima tappa. Primo tutto

Finalmente a Bologna.

Dopo l’intero viaggio passato ad ascoltare un ragazzo che raccontava di aver avuto il COVID qualche mese prima, all’interno di un vagone sempre più colmo di gente, finalmente sono arrivato.

Scendo dalla carrozza posando il piede per terra e mi sento come un Neil Armstrong dei nostri tempi.

Cercando di sistemarmi, vedo zaini, persone vestite in modo sportivo, e penso chissà se farò amicizia proprio con loro.

Dopo un rapido rifornimento di cibarie leggere, si parte veramente.

Grazie ad uno dei diversi gruppi di cui vi ho parlato prima, mi ero scaricato la mappa dei punti di maggiore interesse del percorso, zone da visitare. Oppure ancora i posti dove eventualmente avrei potuto piantare la tenda, nel caso in cui avessi sbagliato strada o mi fosse successo qualche imprevisto, ed infine (ma soprattutto!) luoghi dove trovare fontanelle!

Comincia la mia via degli Dei e…subito mi perdo al primo incrocio stradale 🙂

Mentre stavo percorrendo una delle tante vie di Bologna, protetto sotto al portico, mi sentivo come se dovessi partire per una missione. Come se quella struttura, che ospitava moltissimi panettieri e farmacie, mi celebrasse e mi facesse gli auguri.

Passato un bel tratto in pianura, finalmente misi piede sul primo scalino che conduceva alla chiesa di San Luca, mettendo subito alla prova. La scalinata si sviluppava sotto un porticato maestoso e, mentre salivo i gradini con il mio passo incerto, intravedevo gruppi di trekker, trail runner e persone partite quel giorno proprio come me. Mi affascinava pensare che il destino avesse legato tutte queste persone a quel momento. Più salivo, più l’adrenalina e l’emozione salivano: stavo per giungere ad una meta molto importante e stavo per vivere un’avventura mai vissuta. Passo dopo passo, concretizzavo il destino in presente e poi passato, marciavo al ritmo dei miei sogni.

Guardandomi in giro, mi accorsi che era già possibile capire chi avrebbe fatto il percorso ed in quanti giorni: c’era un gruppo di 3 persone, di cui 2 ragazze molto sportive che procedevano spediti: per loro sembrava una gara quasi. Un po’ per rompere le scatole provai a superarli in salita, finii per affiancarmici ed ascoltare i loro discorsi: nulla di profondissimo. Riuscii a superarli: ho sempre odiato avere gente davanti mentre cammino.

Mi sentivo gasato: avevo dato a me stesso prova di riuscire a superare gente con 13 kg sulle spalle su una scalinata verticale e…bravo furbo! Brucia tranquillamente le energie così! Non appena raggiunsi un punto panoramico fui superato dai 3 ragazzi che mi sfrecciarono a destra e sinistra, come degli aerei in picchiata verso il punto d’osservazione. In quel momento mi resi conto di dove fossi già arrivato: ero quasi in cima, sotto di me l’intera Bologna semi nascosta nella pianura.

Mi sembrava che fosse già passata un’eternità ed invece non era nemmeno l’ora di pranzo. Decisi di rilassarmi 5 minuti, esplorando la chiesa di San Luca. Non ancora abituato all’ingombro del mio 60L, entrando all’interno della struttura, urtai la porta imprecando.

Terminata la visita, mi portai dall’altro lato del colonnato dove ad aspettarmi c’era il panorama verso la mia destinazione: Firenze.

Pensai in quel momento a cosa stessi facendo: potevo ancora tornare indietro e non era troppo tardi per abbandonare. In fondo non avevo ancora parlato con nessuno, ero da solo a fare un cammino per la prima volta, avevo imparato solo tre giorni prima a montare una tenda e sapevo che sarei andato nel panico se fosse piovuto. Mille ansie mi avvinghiarono in quel momento, mentre vedevo intorno a me gruppi di persone calme e tranquille, sicure del fatto che avrebbero potuto contare sui propri compagni in caso di difficoltà.

In quel momento, riflettei sull’uomo e la sua tribalità intrinseca: realizzai che accomodarsi non mi avrebbe fatto crescere e superare quel limite primitivo. Pensare che ogni grande città sia stata costruita poco alla volta, mi fecero trovare il coraggio di allontanare quei pensieri negativi.

Mi diressi quindi verso il piazzale, famoso per i suoi motivi tassellati, le aiuole in muratura, e una fontanella presa d’assalto come se fosse la fonte miracolosa.

Dopo il breve rifornimento d’acqua magica, e dopo aver anche “sciacquato” via la negatività ed ogni dubbio, mi incamminai molto più determinato verso la prima meta. Lasciata la chiesa, seguii una strada asfaltata. Via via che si poteva ammirare alle proprie spalle la chiesa di San Luca, in tutta la sua magnificenza, decisi di fare come il turista medio e scattare anch’io la famosa foto da quella prospettiva.

Proseguii e raggiunsi un gruppo di ragazzi che stava procedendo con passo annoiato ed un nanetto che sembrava uscito da un fumetto. I ragazzi parlavano del più e del meno come tutti, il nanetto non vi dico di cosa. Pensai e sperai di non dover attaccar bottone con loro. Una nube dall’odore di erba improvvisamente si fece spazio tra gli alberi: il nanetto doveva essere entrato nel vivo dei suoi ricordi e voleva godersela. Ci superammo e, raggiunto un incrocio, le cose andarono più o meno così: quelli davanti a me si fermarono, rifletterono e scelsero di andare a destra, trovando più avanti il segno, io mi fermai, riflettei e scelsi anche io la destra, mentre il gruppo Travel Cannabis dietro di me dritto a sinistra…non li rividi mai più! Mi viene da pensare che il nanetto li abbia picchiati tutti nel sonno.

La strada era finalmente diventata sterrata e ghiaiosa, trasformandosi in un dedalo di sentieri via via più erbosi. Era però chiaro che si dovesse proseguire scendendo, quindi procedetti senza troppi dubbi. Mi convinsi di essere sulla strada giusta, incontrando molti camminatori ed infine arrivando a Casalecchio di Reno. Il secondo obiettivo era infatti quello di raggiungere il fiume e costeggiarlo fino a quando la strada non si fosse fatta decisamente pendente.

Proseguii, costeggiando il fiume, quasi inesistente vista la stagione, mentre dall’altro lato Parchi naturali si alternavano a zone semi desertiche e campi.

Mi colpì subito la varietà di tipologie diverse di camminatori che affollavano quei sentieri, in quella pazza estate targata COVID19. Tutti diversi sì, ma in ognuno di essi potevi riconoscere alcuni aspetti di te: ansia, preoccupazione, sicurezza o meno del percorso e di sé. Ogni zaino sembrava rispecchiare il padrone, proprio come si dice con i cani.

C’erano quelli che avevano fatto il cammino di Santiago con conchiglia, cappello, bacchette e camminata esperta e sicura, veri assi della pianura, e si radunavano in branchi che mi trottavano a fianco liberi nel loro mondo.

C’era quello equipaggiato di tutto, ma proprio di tutto. Pure peggio di me.

C’erano i lightweight con praticamente niente e quelli che volevano imitarli, cioè persone con uno zaino da 26L e tutto appeso fuori che sbandava a destra e sinistra; ogni tanto cadeva.

Poi c’ero io: un evidenziatore azzurro del Decathlon con una bandana in testa; sarei potuto benissimo essere scambiato per un testimone della Stabilo.

Finalmente le ore 12:00. Sono ore che il fiume sta alla mia sinistra e della salita manco l’ombra. Il caldo si fa sentire in modo pesante, il brio inizia a mancare, la fame arriva e subito viene soffocata dalla fatica e dal peso. Sono ancora solo in mezzo agli altri.

Il flusso di trekkers inizia a regolarizzarsi e presto ci ritroviamo ad essere dei gruppi di persone in fila, separate come le linee di un codice morse. Mi unisco ad un gruppo di Over 30 del Veneto, che si prendono in giro tra di loro: li adoro già. Uno di loro, un tale Marten tiene alto il morale di tutti con le sue battute e il suo accento. La sete mi assale. Cerco di resistere per non perdere il posto e il ritmo ma alla fine non riesco. Mi fermo e bevo. Sono di nuovo da solo.

Lo sconforto e l’ansia mi prendono: secondo i piani sarei già dovuto essere ben oltre a questo maledetto fiume ed invece sono ancora li che ci giro intorno, come un maledetto ippopotamo della savana, evitando pozze di fango, melma e rami caduti.

Decido di continuare, rassicurato dal fatto che una tenda ce l’ho e, in emergenza, posso piantarla dove voglio. Ho sicuro almeno anche una cena (scatolette di tonno), ed in quel momento mi fermo e ripenso alla mia saggia ragazza, che mi avrebbe consigliato di tamponare con la frutta secca per riprendere energie. La prendo, la divoro, ripenso ed amo ancora di più lei, che nel frattempo è in Trentino Alto Adige tra le Dolomiti. Voglio dimostrarle che non sta con un quaqaraquà.

Procedo deciso. Del resto, COVID a parte, tra i miei piani c’era il sogno di Santiago: mi ero allenato quando potevo per avere fiato e gambe. Adesso, cascasse il mondo, dovevo farcela, non avevo nemmeno più il lavoro a rubarmi tempo: questo cammino doveva essere fatto lì ed ora, non avrei mai più avuto la possibilità di vivere veramente cosi. O forse sì, ma questi sono altri racconti.

Supero quindi una coppia di ragazzi sudamericani gentilissimi, educatissimi ed armati di tutto punto. I loro zaini sono più grossi di loro, che ondeggiano tra una pozza e l’altra. Scambio due parole, ma non riescono a tenere il mio ritmo e li devo abbandonare…anche loro non li ho mai più rivisti.

Mentre procedo a buon ritmo, incrocio un ragazzo con cappello, zaino Osprey e occhialacci che ondeggia agilmente tra le insidie melmose. Non passa molto che attacco bottone, scambiamo due battute e come il 90% dei trekkers in quel periodo scopro che è veneto. Poco dopo, vengo raggiunto da una sua amica del gruppo, Alessia: fa la geologa e la cosa mi incuriosisce molto perché, diciamocelo, chi ha mai fatto geologia tra i vostri amici? Mi racconta del suo lavoro, di come funziona a grandi linee, ed in realtà scopro non essere impiegata come geologa in senso stretto, ma lavorare in un’azienda che fa analisi sulle rocce.

Assieme al ragazzo di prima, Laza, passiamo del tempo a scambiarci battute su un po’ di tutto: gli ultimi meme, il COVID onnipresente ma anche cose serie di lavoro. Non passa molto tempo che fa la sua comparsa un ragazzo alto e dal sorriso smagliante, un po’ annoiato probabilmente dal caldo. Si aggiunge ma non parla molto con me. Giò infatti non sembra felicissimo di me, del resto scoprirò solo verso sera che Alessia, la ragazza con cui stavo parlando, è la sua ragazza.

Mentre camminiamo il paesaggio si apre: la ghiaia lascia spazio ad una strada asfaltata e proprio lì, al limite del visibile, in fase di rallentamento, appare il mitico Zarr (così chiamato per qualcosa accaduto al lavoro riguardante lo Zar di tutte le Russie). Questo ragazzo simpatico e vitale si aggiunge al gruppo per conoscermi. Mi è fin da subito simpatico proprio per come ha fatto lo zaino e la tenda Decathlon Arpenaz da 19€ che spunta e viene tenuta ferma dalle cerniere in maniera verticale, ed un cappello sgargiante bianco.

Finalmente, senza nemmeno cercarlo, e completamente a caso, mi ritrovo in un gruppo e mi sento accolto.

Le sensazioni sono contrastanti, da un lato contento di stare con gente più esperta di me, almeno per il primo trekking di più giorni della mia vita, dall’altro un pò deluso perché l’idea di mettermi alla prova in solitaria mi stava piacendo.

La strada si fa finalmente vicina all’Appennino ed alla vetta sulla quale saremmo dovuti salire per arrivare al termine della prima tappa di questo impegnativo trekking.

Sono stanco, sono affamato ed accidenti sono già le 15:00!

TO BE CONTINUED

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