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Riusciremo a salvare il nostro pianeta?

Questo articolo è nato dopo una lunga riflessione, durata mesi, in cui ero molto incerta se scrivere o meno qualcosa che avesse a che fare con il cambiamento climatico del nostro pianeta, poi però ci sono stati una serie di fattori che hanno avuto la meglio. Infatti, sono cosciente della grande forza che i mezzi di comunicazione hanno, se vengono utilizzati nel loro lato positivo, con la possibilità di informare e divulgare, a chi ha voglia di comprendere, cosa davvero sta succedendo e cosa potremmo fare per invertire la tendenza, partendo proprio da noi.

Discorsi su questo tema ne sentiamo ormai tutti i giorni nei Talk Show, sui social, sui quotidiani ed ai TG ma, quello che mi ha convinta del tutto non è tanto il discorso singolo dello scioglimento dei ghiacciai, dell’aumento del livello dei mari o della quantità enorme di CO2 che sta sempre più aumentando nella nostra atmosfera, cose per niente banali, sia chiaro, quanto la presa di coscienza che, a causa della totalità (e non solo!) di questi fattori, la situazione potrebbe essere davvero precipitata, tanto che per l’uomo non ci sarebbe più ritorno, a meno che non agisca fin da subito. E non stiamo parlando di un futuro troppo lontano ma ormai si prevede verso la fine di questo secolo, quindi intorno al 2100.

Come facciamo a cambiare davvero le cose?

Movimenti di presa di coscienza come il Fridays for Future ed organizzazioni ambientaliste, che davvero vogliono fare qualcosa di concreto, ce ne sono sempre di più eppure non sono sufficienti, a meno che non vengano prese decisioni davvero importanti e che non siano lasciate sole dalle autorità politiche.

Ma andiamo con ordine!

Oltre a diverse situazioni nell’ambiente naturale che ho vissuto in prima persona, come la differenza di spessore del ghiacciaio Marmolada a distanza di due mesi, che ha reso la discesa dalla Via Normale completamente diversa in due momenti tanto ravvicinati, ci sono stati alcuni attimi, che considero delle vere e proprie epifanie e che mi hanno fatto aprire del tutto gli occhi. Il primo, forse banale e scontato, anche un po’ commerciale potrei dire, sono state le proiezioni dei docu-film “La vita sul nostro pianeta” di David Attenborough e “Seaspiracy” di Ali Tabrizi, sulla piattaforma digitale Netflix. Il secondo atto, grazie a cui ho preso davvero coscienza che forse qualcosa non va, è stato leggere, negli ultimi mesi, sempre più articoli scientifici sul cambiamento climatico, con un particolare focus soprattutto sull’avvicinarsi della sesta estinzione di massa, come il bellissimo articolo “L’incredibile storia del clima terrestre” di Peter Brannen sul The Atlantic.

Ed è proprio su questo ultimo concetto su cui vorrei maggiormente fermarmi in questo primo articolo, per poter partire con la mia riflessione. Improvvisamente non riesco più a vedere il futuro con l’ottimismo proprio di una millennial, con la gioia che ha sempre contraddistinto giovani ragazzi tra i venti e i trent’anni, perché improvvisamente comprendiamo di essere limitati e fragili, molto più di quello che pensiamo.

Se davvero ci fermiamo a riflettere un secondo, quello che a noi sembra essere il pianeta, anzi il NOSTRO pianeta, è in verità vissuto dalla specie umana solo da un’infinitesima parte di tempo. Possiamo dire che da 200.000 anni l’uomo, l’Homo Sapiens anzi e non altri antenati ominidi, ha iniziato a fare la sua comparsa, ma da appena 20.000 si è sedimentato in un luogo, grazie all’agricoltura, smettendo il suo lungo vagabondaggio. Da qui, ha iniziato a creare una società organizzata, che si è evoluta nel corso del tempo fino a quella che conosciamo ora.

La strada è sembrata essere lunghissima se pensiamo che dai quei primi insediamenti, nella cosiddetta mezzaluna fertile, nelle Ande ed in Cina, l’uomo ha cominciato a progredire, inventando la scrittura ed un utilizzo sempre migliore degli utensili, fino ad arrivare alla tecnologia moderna. Nel corso dei secoli anche il pensiero è mutato radicalmente, anzi oserei dire che si sia totalmente formato, passando dall’analfabetismo delle masse di schiavi, come ad esempio nella società egizia, all’aristocratica scuola greca di Atene, per poi passare nei secoli alle correnti Rinascimentali, a quelle più moderne dell’Illuminismo, fino alle ideologie socio-etico-politiche che hanno portato i popoli a combattere sempre più per i propri diritti, arrivando dunque ad oggi, in cui siamo talmente tanto bombardati da informazioni, che non abbiamo addirittura più tempo per stare al passo con i media e con le notizie.

Si può dire insomma, in estrema sintesi, che il processo dello sviluppo dell’uomo e della sua evoluzione, per quanto sembrino secolari, anzi millenari, in verità rappresentano solo un tempo veramente irrisorio, se comparato alla storia miliardaria del nostro pianeta.

Si può dividere infatti il tempo trascorso dalla formazione della Terra in tempi geologici, le cui unità di misura sono gli eoni. Il primo di questi, chiamato adeano, ebbe inizio 4.6 miliardi di anni fa, quando si formò la crosta terrestre, mentre ora viviamo nel quarto eone, detto fanerozoico, iniziato 545 milioni di fa. A sua volta, l’eone è suddiviso in ere, poi frazionate in periodi, epoche ed età. Solo nel recente pleistocene, che va dai 2.5 milioni agli 11.700 anni fa, fa la sua comparsa l’Homo Habilis e quello Erectus, fino alla nascita dell’agricoltura con l’Homo Sapiens.

Schema riassuntivo delle ere geologiche

Senza voler andare troppo nel dettaglio, nei vari studi scientifici che citavo prima, si è visto come davvero le ere geologiche si siano alternate tra loro, portando con sé cambiamenti epocali, che hanno stravolto l’assetto del nostro pianeta, come oggi lo conosciamo. Non è un caso che la Tettonica delle placche e la Paleoclimatologia, abbiano da sempre cercato di dare delle risposte alle tante domande che affliggono il presente, portando alla luce, attraverso elaborati modelli analitici e studi avanzati sul radiocarbonio, come il nostro pianeta abbia alternato momenti di glaciazioni, e quindi temperature estremamente fredde (e conseguentemente abbassamento di anidride carbonica nell’atmosfera), a periodi di grande siccità, o al contrario un clima caldo-tropicale, con temperature anche di decine di gradi maggiori di quelle attuali, con le conseguenti concentrazioni ed innalzamenti di CO2.

Quello che però mi ha lasciato davvero colpita in mezzo a tutti questi studi, peraltro appresi fin dai tempi della scuola ma mai davvero interiorizzati come ora, è come l’alternarsi di queste due condizioni climatiche così estreme, necessitasse di un tempo pari a milioni di anni. In altre parole, si potrebbe dire che i cambiamenti climatici e la fine di un’era non arrivassero “improvvisamente” ma che fossero il risultato di millenari piccoli adattamenti.

Quello che invece sta succedendo oggi, a mio avviso non solo preoccupante ma direi completamente scioccante, è un capovolgimento di questa tendenza. Infatti, queste variazioni climatiche sono sempre più rapide e i cambiamenti estremi non vengono più stimati nel lungo termine ma addirittura fanno riferimento, nell’ipotesi più ottimistica, a qualche secolo, mentre in quella peggiore ad un solo secolo. Il NOSTRO.

Un grafico che voglio senza dubbio mostrare, e che ha come fonte autorevole la NASA (link), dimostra come sia impressionante l’aumento di CO2 nell’atmosfera, soprattutto nell’ultimo secolo. Si può ben vedere insomma come, dal solo 1950 ad oggi, l’andamento non sia neanche esponenziale, ma peggio ancora, con un andamento che francamente non sembra presagire nulla di buono, per dirla in termine non matematici.

Misurazioni di CO2 nell’atmosfera

Potrei continuare ancora per molto, elencando le caratteristiche delle varie ere geologiche precedenti, di come abbiano avuto una precisa causa-effetto, e come queste si tendano a ripetere nel corso del tempo. In queste condizioni precedenti, l’uomo, per sua natura, non poteva vivere, ad eccezione delle ultime decine di migliaia di anni, in cui un assestamento del clima ha dato la possibilità di avere una maggiore stabilità e quindi è stato possibile arrivare alla creazione di società organizzate.

Ovviamente ciò ha avuto un impatto sempre più marcato non solo sull’uomo, su cui siamo costantemente ed egoisticamente concentrati, ma sull’intero regno animale, su quello delle piante, sui diversi habitat, tra cui foreste tropicali ed oceani: mi riferisco dunque alla cosiddetta Biodiversità. Non è un caso quindi che molte specie, animali e vegetali, nel corso dei millenni siano mutate e si siano estinte, ma se prima sembrava qualcosa di lontano, che si riferiva solo a mammut e dinosauri, da cui venivamo affascinati nei libri e film da bambini, oggi è qualcosa di sempre più tangibile ed evidente ai nostri occhi. Un esempio che mi sta molto a cuore, e che tutti coloro che mi conoscono già sanno, sono i recenti vasti incendi del 2020 in Australia, che hanno raso al suolo migliaia di ettari di foreste, dove vivevano alcune specie animali come i Koala, ormai sempre più rari. Ogni giorno, tendiamo quindi a non proteggere la presenza di questi animali sulla Terra che dunque si avvicinano all’estinzione, a meno di non proteggerli concretamente. Lo stesso si può dire per molte specie in altrettanti continenti quali rinoceronti, panda, tigri, leoni, orsi bruni, orsi polari, tucani, ghepardi, lupi, pantere, aquile ecc. Purtroppo, l’elenco è molto lungo e non comprende solo questi animali, che potremmo dire più noti, ma nasconde anche una lunghissima lista di rettili, pesci, insetti ed uccelli, meno conosciuti, ma ugualmente bellissimi ed importanti per la biodiversità. Infatti, i cambiamenti climatici, modificando le condizioni dei loro habitat e stravolgendo totalmente interi scenari mondiali, a causa della deforestazione o dello scioglimento dei ghiacciai, non fanno altro che accelerare il processo di estinzione. Dobbiamo infatti ricordare che ogni essere vivente rappresenta un tassello del puzzle e quindi ciascuno, con il proprio ruolo, è importante per mantenere vivo l’equilibrio dell’ecosistema.

Probabilmente tornerò nuovamente sull’argomento in altri articoli, perché non sono neanche riuscita ad accennare la situazione complicata degli oceani e della biodiversità come avrei voluto, ma temo davvero che potrei scrivere decine di pagine, per cui mi limito ad una riflessione finale (per ora!), in attesa di continuarla ed estenderla.

Tuttavia, non voglio chiudere questo articolo lasciando un’ombra di negatività come ho provato io, appena finito di vedere documentari e di leggere gli articoli.

È vero, le condizioni in cui viviamo oggi evidenziano un allarmante e molto preoccupante scenario, ma il punto di partenza è innanzitutto prenderne coscienza e consapevolezza, in modo tale da cercare soluzioni per invertire, o quantomeno rallentare, questa tendenza. Ci sono molteplici possibilità, senza arrivare a dover lasciare il nostro pianeta, prospettiva non praticabile nel corto-medio termine (e forse chi lo sa, neppure nel lungo).

Mi riferisco dunque a diminuire gli allevamenti intensivi, modificando l’alimentazione degli onnivori, con l’uso di tecniche più sostenibili e con lo sviluppo di varianti nutritive, come ad esempio le alghe, che contengono molte più vitamine di tante carni e verdure. Evitando poi grandi sprechi di risorse vitali come l’acqua, diminuendo il consumo di plastiche e l’utilizzo sempre maggiore di energie rinnovabili, quali quelle solari, eoliche e geotermiche.

Questo è ovviamente collegato anche ad una scelta di materiali più riciclabili, che riducano le emissioni di CO2 al minimo, oltre che alla maggiore capacità di definire un’economia che sia il più possibile circolare. In altre parole, quando un prodotto arriva al termine del suo ciclo di vita, bisognerebbe trovargli una nuova forma, che gli permetta di avere un secondo utilizzo, in un ciclo continuo. Tutto ciò permetterebbe di ridurre in maniera esponenziale gli sprechi, soprattutto nel settore del food e del water, in cui si sta molto investendo già da un pò. Esempi concreti sono il miglioramento del ricircolo delle acque reflue, ma anche la conversione e la desalificazione dell’acqua, oggi non potabile, in qualcosa che permetta all’uomo di essere sfruttata, dopo attenti filtraggi. Questo consentirebbe di andare anche ad incidere sulla domanda-offerta sia nell’agricoltura, che negli allevamenti intensivi di animali, in cui ci sono davvero troppi sprechi ed utilizzi impropri delle risorse preziose.

Vorrei quindi chiudere con una nota di positività, perché l’uomo, da quando esiste, riesce sempre a tirare fuori il meglio di sé, attraverso il suo intelletto e la sua fantasia, anche in condizioni non molto favorevoli. Anzi, è proprio durante le avversità, che si accentua l’intuito e l’ingegno per fare quel passo oltre fondamentale, in questo caso, per sopravvivere. Chissà se, anche in questa situazione, riuscirà ad avere la meglio con idee innovative, ma anche prestando le dovute attenzioni, per salvarci e non permettere al business ed alla finanza di trionfare!

Questa volta la posta in gioco è alta: o agiamo ora o la sesta estinzione di massa, quella di cui parlano ormai in molti, sarà sempre più vicina.

Cominciamo tutti a fare assieme il primo passo verso un mondo migliore?

Da cosa vuoi cominciare?

4 commenti su “Riusciremo a salvare il nostro pianeta?”

  1. Un importante articolo sulla salvaguardia del nostro bellissimo pianeta Terra, scritto in maniera molto completa e chiara nella spiegazione. E con proposte ecologiche efficaci da mettere in atto già da ora, anche a partire da ciascuno di noi.

    1. Grazie mille Matteo! Hai proprio c’entrato il punto: bisogna prima di tutto spiegare il problema nel modo più semplice possibile in modo da arrivare alla maggioranza delle persone. Da lì, provare a dare dei suggerimenti e delle proposte concrete da cui partire!

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