Improvvisamente le nuvole si diradano e le Pale di San Martino si lasciano intravedere al loro interno. In fin dei conti, non sempre bisogna osservare tutto al 100%: forse è sufficiente poter immaginare quella restante parte, così incompleta e tremendamente perfetta. Il solo atto straordinario di essere presenti dà una ragione ed un senso al tutto. Perchè, alla fine, basta essere in giusta compagnia per sentire una fitta al cuore, nel silenzio assoluto, quando tutti dormono, per ritrovarsi unici fruitori di tanta bellezza.
Quando, senza volere, decidi di dormire la notte di San Lorenzo in un rifugio, pensi alla fine che la ricompensa non potrà che essere pura meraviglia. In un mondo di frenesia e di stress, il solo fermarsi ed uscire dal tempo, per più di 24 ore, è pura utopia.
Laddove non prendono i cellulari e dove la rete mobile non ce la fa, si ricrea un’atmosfera un pò vintage, retrò, dal sapore degli anni 2000 e dunque un pò più bella. Lassù, dove per trascorrere la serata, ti ritrovi a parlare per ore ed ore, a leggere un buon libro, oppure cimentarsi in un gioco di società, sembra che il tempo si sia fermato.
Fin dal nostro arrivo in rifugio, mi viene detto che se avessi voluto avvisare casa, avrei dovuto chiamare tramite un telefono analogico grigio, che sembrava uscito direttamente dal secolo scorso, ancora con il cavo diretto. Wow. Sembra di essere tornati bambini, quando rispondevo io alle chiamate in campagna con i miei nonni.
Coordinate geografiche
Ma facciamo un passo indietro. Dove ci troviamo? Abbiamo parlato di un’avventura e di un rifugio, allora cominciamo a dire alcuni nomi: Val Canali, Cant Del Gal, 1174 m. Destinazione: Rifugio Pradidali, 2278 m.
L’obiettivo era quello di trascorrere la notte presso il rifugio, meravigliarsi tra le stupefacenti Pale di San Martino all’alba, e poi riprendere il cammino fino al Passo delle Lede, a 2695 m. Da qui, stando molto attenti a non convergere al temutissimo sentiero 711, saremmo dovuti riscendere di nuovo verso la val Canali, superando il Bivacco Minazio e seguendo una tappa dell’Alta Via delle Dolomiti 2. Infine, poco prima di arrivare al bivio per il rifugio Treviso, in direzione Feltre, avremmo dovuto seguire il torrente in discesa nuovamente fino a Cant del Gal.
Un anello fattibile sulla carta. 1645 m D+/D-, tanta fatica e stupore. Ancora non sapevo, prima di partire, che le Pale di San Martino ci avrebbero donato molto di più del sudore che noi abbiamo versato su di loro.
Tutto ha inizio dalla cartina Tabacco
Gli occhi sono fissi sul sentiero ad anello, ed i tracciati sono stati ben memorizzati e studiati tramite la cartina Tabacco – Pale di San Martino. Consci che il giro non sarebbe stato una semplice passeggiata, abbiamo cominciato la salita.
Passo dopo passo. Gocciolina di sudore dopo l’altra. Il caldo quasi umido delle 11 di mattina a 1174 m, improvvisamente non dava tregua in valle. Pian piano però, lascia il posto ad una calura diversa, quella del corpo, durante una risalita così diretta e tremendamente ripida.
Già saturi dei numerosi tornanti, del sentiero ghiaioso e dei vari zig zag che facevano quasi girare la testa, appaiono anche tratti attrezzati. Ma, almeno per me, questa è un regalo dal cielo, preferendoli di gran lunga ai verticali boschi.
Qui le forze tornano e l’entusiasmo riesce timidamente, per poi farsi riaffievolire dalle sempre più incombenti nubi basse, che sembrano non dare tregua quel giorno. Il cielo sembra dipinto con un pantone di grigi. Esso si riflette sulla roccia delle Pale di San Martino, facendo ergere Torre Pradidali, Cima Canali, Cima Wilma ed il Velo della Madonna. Tutti questi picchi sembravano solo divinità lontane e soggioganti.
L’arrivo al rifugio sembra davvero una benedizione, sia nell’ottica di riparo dalla probabile pioggia, sia per il bisogno di trovarsi in piano, dopo 3 ore abbondanti di salita costante e decisa.

Il rifugio tra le Pale di San Martino
L’umore non era dei migliori per via del meteo, che non ne voleva sapere di aprirsi, ma forse sarebbe stato solo una questione di attimi. Infatti, il solo vivere la vita in un rifugio, entrare in un mondo senza tempo e senza connessione, ti cambia. Mi sentivo diversa, quasi un’altra persona, solo dopo neanche un’ora dal nostro arrivo.
Un the caldo rigenerante. Uno sguardo ulteriore alla cartina Tabacco. Una partita a dama. La risoluzione dell’incastro in un gioco di logica. Infine, le invitanti pagine di un libro di viaggi e di libertà. Tutto ciò riporta la mia mente in uno stato di calma e spensieratezza unico.
Le nuvole basse là fuori, così visibili dai vetri trasparenti del Pradidali, ad un tratto non mi interessano più. Penso all’ora del tramonto ed alle foto che, fino a qualche istante prima, avrei voluto fare. Rimango un pò delusa certo, ma in compenso avrei avuto il piacere di vivere altro. Una calda ed appagante cena, ad esempio, preparata in un rifugio pieno di inglesi, olandesi, americani che ci hanno raccontato, così istintivamente, le loro storie, allo stesso modo di nostri coetanei italiani di Trento.
Pieni di emozioni e con il cuore felice per i nuovi incontri, chiudiamo la luce alle 21.30.


Alba sulle Pale di San Martino
Sveglia alle 5.25. Tentativo inutile di uscire fuori all’alba. Le nubi, forse anche peggio del giorno precedente, ma nulla ormai incide più sull’umore. Oggi sarà completamente diverso: il dislivello positivo limitato a 400 m, fino al limite del ghiacciaio Fradusta, poi tutto il resto sarà in discesa.
Cosa sarebbe mai potuto succedere? Nulla, povera ingenuità, ma forse giusto così. Meglio assaporare il gusto di pane con crema di nocciole e di marmellata alle arance e frutti di bosco, vivere il presente prima di preoccuparsi per niente.
Ore 7.45 siamo pronti e fuori dal rifugio. Destinazione: Passo delle Lede. Ancora non sapevamo che le nuvole basse ci avrebbero accompagnati piano piano, provando ogni tanto a diradarsi, e creando vane speranze in noi.
Arrivati al bivio con il sentiero 711, ci siamo saggiamente tenuti lontano da questo tracciato, avendo letto di un canalone e di un pezzo attrezzato simil-ferrata. Eravamo talmente pronti e preparati dal nostro studio, che eravamo anche letteralmente terrorizzati all’idea di non accorgersi di lui. E’ stato un sollievo poi lasciarcelo alla nostra destra, per proseguire verso il vallone.
Qui, una lumaca attraversava la strada e, nel tentativo di staccarla da terra e porla di lato, ci siamo fermati. Alle nostre spalle una meraviglia stava lasciando il posto allo stupore. Abbiamo compreso immediatamente che il cielo ci avrebbe regalato emozione pura: forse non un diradarsi completo di nubi, ma quanto bastava per godere di uno degli spettacoli più straordinari della mia vita.
Felici per questa improvvisa benedizione, abbiamo iniziato a salire più leggeri.


Atterraggio sulla Luna
Improvvisamente, il peso dello zaino che tanto mi aveva fatto penare il giorno precedente, ha lasciato di colpo il posto alla velocità. Capendo poi che il punto di osservazione migliore sarebbe stato il Passo Pradidali Basso, a 2658 m, abbiamo percorso una deviazione che avrebbe allungato un pochino il tracciato. Ma ne sarebbe valsa la pena.
Sì, perchè man mano che salivamo, lo scenario alle nostre spalle era in continua evoluzione. Eravamo soli, nel silenzio, nello stupore, in un tempo fisso in cui tutti dormivano, o semplicemente non erano presenti. Uno spazio tutto per noi, dove la fitta al cuore arrivava immediata e tagliava il fiato.
Arrivati al Passo Pradidali Basso, sembrava di stare davvero sulla Luna. Forse eravamo noi gli attori di un film di fantascienza e non sapevamo di essere i protagonisti?
Ad un tratto, vediamo arrivare altri escursionisti, improvvisamente usciti da chissà dove. Ma non si fermano, non osservano, continuano nel loro peregrinare e neanche comprendono cosa si stanno perdendo.
Lascio lo zaino a terra, corro su un punto poco più in alto e vedo LORO che si aprono. Le Pale di San Martino ci danno il buongiorno. Piango quasi per l’emozione.

Improvvisamente, mi vibra la tasca ed arrivano messaggi fin a quel momento bloccati dall’assenza di linea. E’ forse un segno del destino? Dovrei forse condividere questo paesaggio con qualcuno? Chiamo la mia famiglia, avviso che sto bene e che sto vivendo un momento magico. Poi chiudo e proseguo, ancora più leggera ma con il cuore già pieno.
Non erano neanche le 9 del mattino e mi sentivo già colma di gioia.
Gli effetti del cambiamento climatico
Da lì a poco, arriviamo al passo della Fradusta, 2680 m, e poco lontano scrutiamo la neve.
Il cuore si ferma, ma per tutt’altro motivo. Per chi non lo sapesse, il ghiacciaio della Fradusta era considerato il secondo delle Dolomiti per importanza e grandezza, solo dopo la Marmolada. Quello che neanche un secolo prima era l’esempio da manuale di un ghiacciaio alpino, ora era solo un cumulo di neve, anche sporca e grigia.

A rendere questa scena, già di per sè terribile, ancora più toccante, è il suono ed il fragore dell’acqua. Solo fino ad un attimo prima, si trovava nello stato solido ed ora, inesorabilmente, si scioglieva in direzione del laghetto semi-arido poco sotto, ormai più simile ad una pozza o uno stagno. Ecco, qui ancora non ero consapevole della sua precedente vastità, ed avrei visto le immagini solo una volta tornata a casa, alla sera. Il paragone tra l’immagine del lontano 1923 e quella di oggi, mi avrebbero lasciata senza parole…e preoccupata.
Noi, forse protagonisti di un film, improvvisati attori sulla Luna, davvero non potevamo fare nulla per impedire questo scempio?
Questo pensiero, cupo e sfiduciato, mi ha condotto più triste in direzione del Passo delle Lede, 2695 m.
Un incontro particolare
Poco prima di raggiungerlo, però, abbiamo avuto un incontro molto particolare. Un signore australiano, sulla cinquantina, stava girando l’Europa da solo. In quel preciso istante percorreva l’intera Alta Via delle Dolomiti 2, da Bressanone a Feltre, in solitaria. La sua tappa successiva sarebbe stata proprio il rifugio Treviso, dunque buona parte del percorso l’avremmo condivisa.
Mi vide armeggiare con il cellulare, nel tentativo di scattare una foto alle Pale, nell’ennesima nuova prospettiva. Ero un pò scoraggiata dalla resa per la presenza delle nuvole. Proprio lui mi disse quanto in realtà, con un’attenta post-produzione con photoshop (e, vista la dimensione della sua Reflex tra le mani, non potevo dubitare di lui!), la foto avrebbe potuto rendere ancora di più! Come quella volta in cui lui, percorrendo l’intero tour di dieci giorni attorno al Monte Bianco, si era poi spinto anche verso Zermatt. Nonostante il brutto meteo, disse di aver scattato le foto più belle della sua vita.
Decisi di credergli. A posteriori, scoprii che avrei fatto bene.

Proseguimmo per la nostra strada, prima tutti e tre assieme, ma poi noi scendemmo più veloci e lo perdemmo di vista. Ci saremmo di nuovo incontrati al Bivacco, dove ci saremmo fermati per la pausa pranzo con vista.
La discesa lungo la storia
Poco dopo averlo lasciato, arrivammo effettivamente al Passo delle Lede. Da qui cominciava una infinita discesa verso la Val Canali, con 1645 m di dislivello negativo. Una gioia per le rotule, insomma. Peraltro, se almeno fosse stato un normale sentiero avrei potuto lamentare solo della sua lunghezza. Invece qui, no. Appena abbandonato il passo, ci buttammo a sinistra per un ripido ghiaione, non prima di aver notato con terrore, sulla destra, il punto di ricongiunzione con il famoso sentiero 711, una volta che terminava il canalone.



La discesa non lascia fiato, il tracciato è franoso: bisogna fare molta attenzione.
A turbare questo già precario equilibrio, si aggiunge anche un nuovo incontro. Di nazionalità albanese e felice di aver incontrato finalmente escursionisti italiani, lui, arrivando dalla direzione opposta, ci chiedeva informazioni. Voleva a tutti i costi tagliare la strada ed i tempi, scendere dal sentiero 711 ed arrivare prima al Pradidali. Lo abbiamo vivamente sconsigliato, a favore di un giro più sicuro e panoramico, visto che non sembrava nemmeno super esperto. Tuttavia non so se, alla fine, ci abbia dato ascolto veramente. Così, dopo aver ripreso a camminare, mi girai dietro e lo vidi scomparire sul Passo.
Bivacco Minazio e tragedia Neptune
La discesa verso il Bivacco Minazio sapeva di storia.
Il 19 luglio 1957, a quota 2650 m, un aereo statunitense si era schiantato tra queste montagne, dopo aver perso la rotta di viaggio. Abbiamo poi scoperto che un secondo aereo, pochi giorni dopo, sempre sorvolando queste zone, si è schiantato a sua volta. Non è raro dunque notare, mentre si cammina, resti di rottami ed artiglieria militare arrugginita. Non nascondo che facesse un pò effetto. Una targa celebrativa, posta dalla sezione CAI Padova nel 1966, ricorda tutti i morti di questa immane tragedia.


Dopo il tour all’interno di questo rifugetto dai colori accesi, purtroppo un pò disordinato ed ospitante 12 posti letto, ci fermiamo a riprendere fiato con un panino. Davanti a noi, intravediamo là sotto il Rifugio Treviso, che appare ancora troppo lontano e con le parvenze di un puntino.

Nel frattempo, il nostro “amico” australiano ci raggiunge, entra anche lui dentro la casetta, si spoglia per asciugare la maglietta e dice che non avrebbe mangiato per il momento, ma direttamente a destinazione. Gli faccio dunque vedere il rifugio ancora lontano, ma lui, ridendo, dice “No rush”. Non aveva fretta di arrivare presto al rifugio, perchè poi la giornata sarebbe stata ancora lunga.
Solo dopo aver proseguito ed aver terminato quella infinita discesa, mi chiedo se il nostro australiano fosse finalmente riuscito a scendere, senza fretta, ma sano e salvo. Anche noi, infatti, una volta di nuovo ripartiti da soli, pensavamo (ingenuamente) di essere abbastanza vicini alla meta.
L’atteso finale ed una gioia infinita
Invece no: una devastante discesa, a tratti anche attraversando i guadi asciutti del torrente, diventava più una scalata su rocce e radici verso il basso.
Incontriamo anche ragazzi con zaini giganteschi, che ci guardano con gli occhi di un fantasma per la fatica della salita. Riflettei su come, fossi in loro, non so dove avrei trovato la forza per proseguire oltre. In due ore, finalmente ritoccammo quasi la vallata. Per poi scoprire, amaramente, che il nostro sentiero per tornare al Cant del Gal, era franato e di conseguenza limitato al traffico, anzi, direi proprio chiuso.
Non senza un pizzico di rabbia, ma ormai con le ginocchia distrutte, tanto che non mi hanno frenata in una stupida scivolata, abbiamo dovuto rivedere i piani.
Si trattava di proseguire al bivio, seguire la direzione Rifugio Treviso, proprio come se avessimo percorso l’Alta Via Delle Dolomiti 2 anche noi. Grazie alla mappa di una app sul cellulare, Outdooractive, siamo velocemente riusciti a capire come poi ricollegarci al punto di partenza.
Ma non prima di aver messo i piedi nel fresco dell’acqua del torrente. Che sensazione unica: quel gelo che toglie il fiato, ma che riempie il cuore.
Così, stanchi per la discesa e un pò provati per la durezza delle Pale di San Martino, in una ulteriore mezz’ora abbondante, riuscimmo a tornare alla macchina.
Alla fine posso confermarlo! Nel mentre che ci togliamo gli scarponi, con gli occhi ancora lucidi per la gioia e con le mani che si battono in un cinque entusiasta, è tutto vero!
Sì, le Pale di San Martino ci hanno donato molto di più del sudore che noi abbiamo versato su di loro.


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Belin, che bel racconto! Mi hai fatto venir voglia di farlo anch’io…
Ho passato solo una notte in rifugio in Val d’Aosta 3 anni fa ed è stata una bella esperienza (anche se il meteo fuori non era proprio il massimo). Sicuramente il tuo racconto entusiasta mi ha dato un motivo in più per organizzare qualcosa di simile, magari un po’ più tranquillo e più vicino (ma perchè le splendide Dolomiti sono dannatamente così distanti?!? :-().
Direi che ho tempo da qui alla prossima stagione 😉
Ancora complimenti!