Agosto 2021: un anno esatto dopo la mia prima ascesa in Marmolada, finalmente torno in territorio trentino, nella mia amata Val di Fassa. I progetti sono tanti ed i dieci giorni di vacanza non bastano a coprire tutti i percorsi che ho in mente. Sì, perchè va considerata anche l’incognita del meteo, dopo un luglio piuttosto piovoso e turbolento.
In bilico tra la nostalgia di rivedere i posti del cuore e lo scoprire nuove meraviglie al di fuori della valle, rifletto sul fatto che questo anno non sarà dedicato ad una ascesa alpinistica ma ad un concetto più ampio di esplorazione.
Non sono solo il dislivello positivo e la difficoltà tecnica a rendere un trekker migliore di un altro ma anche lo spirito e la curiosità di aprirsi a nuove esperienze e la capacità di cercare scenari alternativi.
Nasce quindi la voglia di scoprire posti nuovi attorno a quei territori fassani che per me hanno rappresentato tanto in questi anni. Potrei dire che, tra le varie scoperte, la Val Ombretta sia una luce di novità estremamente utile per il resto del racconto anche perché, oltre a trovarsi sotto la parete sud della Marmolada, tra i vari nomi che cominciavo ad elencare da un po’ di giorni, ne giravano due importanti: il Pelmo ed il Civetta.
La gita presso la malga Ombretta e poi il rifugio Falier non hanno fatto altro che accendere del tutto in me il desiderio. D’altronde si sa che, quando le montagne chiamano, bisogna rispondere.
Tutto il ritorno dal Falier aveva una vista eccezionale sulla Val di Zoldo ed il Civetta, primo fra tutti, tendeva le sue braccia.
Non sono servite molte informazioni per convincermi: ormai era chiaro, volevo salire sul Civetta ma in maniera diversa rispetto alla Marmolada. Se in quel caso avevo optato per la ferrata della Cresta Ovest in salita e poi la discesa lungo il ghiacciaio, qui avevo in mente un’altra cosa.
Non un’esplorazione verso l’alto ma un percorso alla base del Civetta, lungo le sue pendici, guardando con ammirazione i suoi torrioni ed assaporando la storia di chi davvero ha scritto pagine in quei luoghi.
Per percorrere l’intero giro (ad esempio unendolo al Moiazza) sarebbero serviti tre giorni ma, considerando anche il meteo non perfetto, ne avevamo solo due; quindi la scelta sul percorso è stata ricalibrata.
Fin da subito, la decisione della notte in rifugio è caduta sul Sonino al Coldai e potrei dire a posteriori che, data la sua posizione eccezionale davanti alla cima del Pelmetto, nessuna scelta è stata più azzeccata.
Partiamo il 10 agosto di buona leva da Canazei in direzione Palafavera, una località della Val di Zoldo dopo aver superato di poco il Passo Staulanza. Si comincia a salire lungo la sterrata (che tanti evitano grazie ad una seggiovia), fino a giungere ad un bivio dove si trova una malga chiusa; da qui si prosegue per un’altra ora fino al rifugio e, dopo altri dieci minuti, si arriva al lago Coldai.
Pareti stupende, torrioni pazzeschi e dimensioni che provocano i brividi ma ancora non è nulla in confronto a ciò che vedremo dopo. La destinazione era chiara fin da subito: chi va sul monte Civetta, senza salirci in cima, deve per forza raggiungere almeno il rifugio Tissi, un avamposto sul lato nord-ovest del monte, da cui si gode di una vista da togliere il fiato.
I motivi sono molteplici e li vedremo dopo ma ora torniamo al lago.
Da qui, infatti, si prende il sentiero 560 in direzione Tissi (seguendo anche le indicazioni per AV1, cioè l’Alta Via 1 delle Dolomiti) e subito si presenta una duplice scelta: rimanere più attaccati alle pareti passando per il ghiaione, con un sentiero più costante, oppure seguire una più facile sterrata di sicura percorrenza ma con sali e scendi? L’adrenalina chiama: non salirò la vetta ma voglio vivere il monte Civetta da vicino e, così, l’ora successiva è un susseguirsi di sassaie, tra roccette e nevai.
Bellissimo! Da togliere il fiato.
Si passa proprio sotto ai torrioni nord del monte Civetta e davvero ci si sente impotenti e piccolissimi davanti a tanta maestosità. I nevai accompagnano tra lo stordimento di un così raro paesaggio, che ogni tanto è distolto dal panorama sullo sfondo, altrettanto magico per l’arco alpino che si manifesta. Così, si giunge finalmente al bivio da cui parte una erta salita fino al raggiungere il rifugio Tissi e, poco sopra, una croce di vetta.
Una volta raggiunta la baita, tra una bevanda calda per riprendere energia e la meraviglia, davvero rimango impietrita. La vista non si limita ai torrioni nord ma davvero si muove a 180 gradi, da un punto all’altro del monte, da tanto è grosso ed imponente. Non bastano macchine fotografiche, GoPro, grandangoli vari per immortalare tutte le creste laterali, ma forse il bello è anche questo così la vista completa è solo dentro di me e la riporto a casa.
Purtroppo, l’ora era già piuttosto tarda e bisognava tornare al Coldai dove avremmo trascorso la notte. La sensazione di aver sbagliato la scelta del pernottamento, si è fatta piuttosto forte ma ero certa che il nostro rifugio avrebbe avuto modo di regalarci emozioni altrettanto intense. Dunque, un po’ intristita dal dover allontanarmi da tanta bellezza, riscendiamo il costone del Tissi per riprendere questa volta la strada più bassa e con sali e scendi: un anello che mi consola dalla tristezza temporanea. Tempo un’ora abbondante e siamo di nuovo sopra al lago, per poi riscendere al Coldai, dove una schiera di persone è già pronta e cambiata per trascorrere la notte.
Il cielo comincia a tingersi di rosa e l’ora del tramonto si avvicina: una bandiera dell’Italia fa da sentinella in questo cambio di scenario, così ci si avvia presto all’ora di cena. Il pasto tipico dei rifugi, a base di minestra e uova speck e patate, fa trascorrere le ultime ore da svegli, fin quando lo scorcio sul Pelmetto ed il riflesso della luna sulle pareti davanti al rifugio ci danno la buonanotte, con la benedizione di un cielo stellato.
Non so voi ma quando so di dormire in un rifugio, non vedo l’ora che arrivino le prime ore del mattino per godere del fascino dell’alba.
Forse è anche un po’ per questo che si dorme ad alta quota e le aspettative non vengono mai disattese: rosa in cielo, letto di nubi tra le creste, aria frizzantina, cielo terso ma non troppo, sensazione di pura magia e leggerezza. Alle 5 apro gli occhi ma solo alle 5.30 volo giù dal letto, ricordandomi dall’anno precedente in Marmolada, che è il momento giusto per godere di tanta meraviglia.
Così la mezz’ora tra le 5.30 e le 6 viene vissuta con sensazioni forti, vive, di attonito entusiasmo, nel fresco mattutino che però non distoglie dall’attenzione. Un po’ storditi da tutto questo, ci si avvia al buffet della colazione, altra cosa molto gradita in rifugio, ma è subito tempo di prepararsi ed uscire, ancora frastornati dalla notte e dalla meraviglia negli occhi.
La giornata parte strana perché il sereno previsto è in verità un cielo coperto dalle nubi basse che ho visto all’alba, ma che non ne vogliono saperne di alzarsi.
In realtà, tutto ciò rende l’ambiente ancora più carico di suggestione ed incanto. Tra nuvole o presunta nebbia, ci avviamo direttamente dal rifugio Coldai al sentiero Tivan per una nuova avventura, anche se l’energia mattutina e il paesaggio davanti distolgono continuamente l’attenzione dal percorso.
L’itinerario taglia il monte Civetta dal lato opposto del lago e rimane basso, fino all’imbocco delle due ferrate (Alleghesi e Tissi) che portano al rifugio Torrani, a quota 2.984 m. Lo scenario è davvero mozzafiato e forse tutto questo è reso ancora più magico dal percorrere l’itinerario alle prime luci del mattino, lontano dal rumore che seguirà da lì a poche ore per l’arrivo di tanti trekkers.
Al rientro alla macchina in località Palafavera, si concludono così due giornate sul monte Civetta.
Non sarà stata certo l’impresa alpinistica che lascia il segno ma posso dire con certezza che lo spirito di esplorazione e la capacità di andare sempre alla ricerca di nuovi posti da visitare, rende la montagna davvero un luogo ottimale per oltrepassare i propri limiti e conoscersi nel profondo, che forse sono anche cose più importanti dei soli numeri delle difficoltà tecniche.
Grazie Veneto, grazie monte Civetta, con tanto rispetto ti ho guardato ed ora ti saluto lasciandoti (per ora) con le tue creste e le tue guglie ma sono certa che tornerò per riviverti appieno e per scoprire nuovi angoli del tuo paradiso, che si chiama vita.