Avete mai avuto quella sensazione di desiderio ed attrazione verso qualcosa di apparentemente inanimato? Ecco, non so se sia una percezione comune ma io sento questo irrefrenabile richiamo nei confronti delle montagne. Probabilmente è qualcosa di non facilmente comprensibile ma penso che tutti noi, a seconda delle nostre passioni più svariate, veniamo sedotti da tutto ciò che ci permette di far brillare gli occhi e che ci mette le farfalle allo stomaco.
Così è stato per molte cime e posso citare la Marmolada come l’esempio più significativo: a lungo desiderata, a lungo sognata ed a lungo immaginata. La sensazione di gioia, di paura e i fremiti nello stomaco erano già presenti da mesi ed alla fine la sua ascesa è stata solo la naturale esecuzione di questo viaggio mentale. Ovviamente la Regina delle Dolomiti è un caso un po’ a sé, ed ogni volta che sento il suo nome in documentari o video, mi brillano ancora gli occhi nel ricordare quei due giorni.
Tuttavia, in tempi di pandemia globale e in un momento di blocco di confini tra regioni, ci si concentra sulle montagne che si hanno a portata di mano. Voglio essere sincera e trasparente: all’inizio non ero così entusiasta di ciò, perché sicuramente il fascino e la maestosità delle Alpi e delle Dolomiti hanno pochi eguali ma a lungo andare mi sono totalmente ricreduta, tanto che ho approfondito giorno dopo giorno la conoscenza della dorsale Ligure, più nota come Appennino.
Questa fascia montana attraversa l’intera regione dalla provincia di Ventimiglia ed arriva fino al confine con le Apuane, nella provincia di Spezia.
Gita dopo gita, con l’entusiasmo di un bambino e l’adrenalina di un esploratore, ho conosciuto vallate che fino a quel momento non mi erano così note: un esempio tra tutti è la Val D’Aveto che, con le sue cime meravigliose, mi ha accolto sia con i suoi prati ospitanti cavalli selvaggi in estate, tanto quanto con il fascino del suo manto nevoso in inverno. È stato letteralmente un amore a prima vista e devo ammettere che, ogni volta che ora è possibile uscire dal proprio limite comunale, il mio primo pensiero va là, alla ricerca dei monti della vallata ancora da depennare.
Non posso però citare l’entroterra del Levante Ligure e poi non fare lo stesso della parte occidentale della regione. Al contrario, mi vorrei proprio soffermare su questo versante perché da qui la vista spazia davvero lontana e ritorna sulle Alpi, da cui tutto è cominciato.
Posso quindi dire, con estrema certezza, che la Liguria del Ponente offre quel magico sapore agrumato di limoni profumati ed arance da spremere ma soprattutto ha la delicatezza leggermente acidula dell’olio d’oliva. Già solo questa premessa può forse bastare ad introdurre il luogo che sto per narrare ma non mi è sufficiente: il Ponente Ligure accoglie il turista con lo sguardo attento alle innumerevoli possibilità che il territorio gli offre. Dalle falesie marine in cui si ergono pareti davvero impressionanti tutte da scalare, oppure la possibilità di svolgere archeotrekking con un passo nella storia ed uno nel presente, in un continuo rimando tra strade antiche, grotte paleolitiche e percorsi moderni. In tutto questo scenario già di per sé spettacolare, si trova una zona al di sopra di Loano che è come se fosse un microcosmo a sé.
Non manca niente: un rifugio storico e davvero colossale, una cresta vertiginosa, il collegamento alla mia amata Alta Via dei Monti Liguri, una vista pazzesca che spazia a Nord dalle vicine Alpi Liguri, con Saccarello, Pizzo d’Ormea e Mongioie fra tutti, poi uno sguardo alle Marittime con l’Argentera, che regna sovrano, ed infine la Val Varaita, le Alpi Cozie e tutto il versante Piemontese, con sua Maestà, il Monviso. Dal lato Sud la vista non è comunque da meno e la cresta, a ridosso del mare, apre il campo visivo all’isola di Gallinara, alla Corsica ma poi rivolge immediatamente l’attenzione verso la frastagliata costa Ligure, in un alternarsi che va dalle vicine pareti del Finalese, ai versanti scoscesi del massiccio del Beigua fino alle dolci vette appenniniche presenti nella città di Genova ed oltre ancora.
Torno quindi alla mia domanda iniziale in cui avevo chiesto se avete mai provato una forte attrazione verso qualcosa; bene, ora posso rispondere anche io!
In questi lunghi mesi di restrizioni, di alternarsi di limitazioni tra comuni, ho trovato, studiato e desiderato la cima del Monte Carmo: una montagna delle Alpi liguri di 1.389 m, che posso dire finalmente di essere riuscita a salire! La partenza avviene in località Verzi, presso il parcheggio Castagnabanca, dopo un tortuoso sterrato che metterà a dura prova anche i più virtuosi pneumatici.
Da qui, si apre un bosco meraviglioso, con guadi facilitati da ponti in legno, tra cui il Ponte dei Martinetti, che danno la possibilità, in breve, di raggiungere il primo punto saliente della gita: il Rifugio Pian delle Bosse, a quota 841 m, della sezione CAI Loano. Qui veniamo accolti dall’entusiasmo dei suoi gestori, davvero simpatici, che ci avvertono del forte vento che potremmo trovare in vetta; veniamo quindi salutati con l’augurio di goderci la scalata ma soprattutto con la promessa di rivederci per la merenda, prima di rientrare al parcheggio. Al bivio scegliamo dunque di seguire la strada di sinistra, così da percorrere la cresta in salita: da qui si sale rapidamente, in uno scenario da locus amoenus.
Comincia quindi la cresta e rapidamente saliamo sempre di più, ricordandoci (o forse direttamente sperimentando sulla nostra pelle!) il forte vento che ci era stato menzionato poco prima al rifugio. Questo non ci scoraggia, anzi, ci dà la forza e l’entusiasmo per arrivare presto alla Sella, solo aumentando un po’ l’attenzione e la concentrazione. Qui si apre una vista di tutto rispetto, anche se in primo piano troviamo una vecchia teleferica arrugginita, che presuppone una lunga storia del luogo. Ormai manca poco alla cima e, con un rapido zig-zag, giungiamo alla imponente croce metallica: inutile ricordare lo scenario straordinario che si apre davanti, riesco solo ad esprimere la gioia di chi ha finalmente realizzato un altro tassello del puzzle, con l’entusiasmo di chi si trova davanti ora altre decine di nuovi sogni, prima fra tutti il Monviso.
Con questa nuova consapevolezza comincia la fase di discesa che però ha un sapore tutto nuovo e diverso da quello dell’andata.
L’anello che ci riporta al rifugio Pian delle Bosse, ci permette di ritrovare le forti emozioni dello scenario, a volte brullo, altre volte rigoglioso, dell’Alta Via dei Monti Liguri. Seguiamo quindi il classico segnavia bianco-rosso AV fino al Giogo di Giustenice, passando prima tra nevai, ancora resistenti nonostante l’approcciarsi della primavera, rafforzati infatti dalle inaspettate basse temperature che improvvisamente ci accolgono: nel giro di mezz’ora, sembra di trovarsi catapultati in un freddo inverno inoltrato. Forse questo ha un fascino particolare ma sicuramente, anzi, è fuori da ogni dubbio, che sia anche uno sprone per accelerare il passo: il bivio quindi ci dice di lasciare l’AV e ricollegarci al sentiero che in un’ora ci riporta al punto di ristoro, non prima di aver avvicinato neviere, utili in tempi antichi per raccogliere, appunto, la neve ma anche una Casella in pietra, resti di vecchie carboniere.
La merenda è stata dunque guadagnata e questa fetta di crostata con fichi e noci davvero mi riempie il cuore di gratitudine per la giornata meravigliosa che ho avuto l’occasione di trascorrere sull’Appennino Ligure, a seguito della consapevolezza di chi ha esaudito un altro piccolo desiderio, a lungo aspettato, in attesa di ricominciare a sognare le cime avvistate poco prima. La calda accoglienza al rifugio della sezione CAI Loano è davvero senza parole e lascio un pezzo del mio cuore qui, con la speranza di poter presto tornare a percorrere questo itinerario all’interno di un obiettivo diverso dalla cima del Monte Carmo: mi riferisco al percorso di tre tappe dell’Alta Via dei Monti Liguri che dal Colle del Melogno conduce alla località Nasino, appoggiandosi ai vari rifugi lungo la strada.
Torno a casa con la constatazione che davvero l’Appennino ha qualcosa di magico e che forse, con il suo essere brullo, scosceso ed impervio allo stesso tempo, con il suo colore marrone che prevale a volte sul verde, ha un potenziale forte, austero ed un messaggio da decifrare. Non tutti forse posseggono subito la chiave per leggere il contenuto ma spero davvero di essere riuscita a trasmettere, almeno in parte, l’emozione che si prova a camminare sull’Alta Via dei monti Liguri.
Qui tutto appare così lontano, fermo e sigillato, in un attimo in cui solo gli animali hanno diritto di emettere i loro suoni e dove le Alpi o le Dolomiti non sembrano più un modello così irraggiungibile.
Bellissima e preziosa valorizzazione del territorio e di ambienti naturali tutti da scoprire e da vivere.
Esatto, dobbiamo promuovere il territorio e valorizzare (per quanto sia possibile) tutto ciò che abbiamo a disposizione!