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L’accettazione del fallimento in montagna

Al rientro dalle vacanze estive sulle Dolomiti, potrei narrare di tantissime vicende e luoghi che ho visitato. Vorrei iniziare dalla notte in rifugio sul Monte Civetta a quota 2100 m oppure dal tour storico (ed a forte impatto emotivo!) tra le trincee delle Cinque Torri, eppure l’articolo da cui voglio partire è una riflessione di tutt’altro genere, sicuramente più filosofica.

Siamo tutti abituati a vincere, ad eccellere, ad essere i primi della classe, a dover sempre fare tutto bene ed alla perfezione. Quando ci sono intoppi lungo la strada ci spaventiamo, ci arrabbiamo, ci diciamo che le cose sarebbero dovute andare diversamente e ci stressiamo ancora di più.

Eppure ci sarebbe una cosa molto più semplice da fare: accettare. Le vicende sono andate così, forse sarebbero potute andare diversamente, ma alla fine sono andate proprio così. Cosa ci si può fare? Nulla.

Ed è giusto così. Va bene così.

A quanti di voi sarà capitato di sbagliare percorso in montagna oppure di trovare il sentiero ad un certo punto impraticabile, a causa di motivi esterni, per cui è diventato troppo inagibile o difficile da percorrere? Immagino a quasi tutti, almeno una volta. Cosa avete fatto? Siete andati avanti lo stesso rischiando di farvi male e mettervi ancora più in difficoltà? O siete tornati indietro variando l’itinerario?

Qualsiasi scelta sia stata fatta, alla fine spero che abbia portato ad un esito positivo e che non vi abbia danneggiato ancora di più.

In questi anni di frequentazione alla montagna, devo dire che sono stata piuttosto cauta. A meno che le condizioni meteo non lo permettessero, evitavo di mettermi in marcia per evitare sorprese. Certo, non sempre ha funzionato e l’avventura al Saccarello (link qui) è solo uno dei casi che lo testimonia. Altre volte invece è capitato di dover ritornare sui propri passi, con tanto amaro in bocca e voglia di non parlarne. Ma forse sta proprio qui il punto da affrontare.

A me è successo due volte nel giro di poche settimane e forse questo lo rende ancora più duro da accettare. Tuttavia, so che questa lezione mi servirà maggiormente.

Andiamo con ordine.

Sentiero Tivan sul monte Civetta (Val di Zoldo, Dolomiti)

Notte presso il rifugio Sonino al Coldai, 1300 m di dislivello positivo e 20km fatti il giorno precedente, un’alba da togliere il fiato ed un letto di nubi davanti ad infrangersi sulle creste. Quali altre premesse ci possono essere per un altro inizio avventura scoppiettante? Ecco, forse troppi segni del destino ma anche un buon motivo per partire. Così alle 7 si imbocca il sentiero 557 in direzione Tivan e si avanza di buon passo, meravigliati dall’imponenza della parete sud del Civetta. Talvolta, in certi tratti, si rallenta per la presenza di nevai ed in breve si raggiunge il punto critico, proprio sotto la Torre Coldai, dovuto alla presenza improvvisa di cavi metallici.

Siamo stati raggiunti da altri trekkers, con già indossata l’attrezzatura da ferrata per l’avvicinarsi della via Alleghesi (non troppo dopo). Avanzano e ci superano facilmente sul muro verticale. Questo pezzo formalmente non è una ferrata ma un sentiero attrezzato molto esposto. Per non rischiare, torniamo all’incrocio di poco prima. La presenza di un grosso masso, su cui si trova la scritta FACILE con una freccia verso sinistra, fa presagire che l’alternativa è possibile. Dunque, senza pensarci troppo, abbiamo evitato di prendere il sentiero attrezzato ed affrontare un’inutile esposizione. Tuttavia, col senno di poi, non si è rivelata la soluzione ottimale.

Tale sentiero (presunto facile) in verità non fa parte di alcuna cartina fisica Tabacco nè tantomeno segnalato su app (Outdooractive) e, quella che è ritenuta una semplice percorrenza, si rivela ancora più pericolosa per la quantità di sfasciumi, di pendenza, di esposizione e di non presenza di tracciato, ad eccezione di un cerchio rosso che ad un certo punto si disperde. Percorriamo un buon tratto, ci rendiamo conto che davvero questo sentiero rischia di diventare più sfidante del precedente se percorso per molti km; dunque torniamo in una ventina di minuti all’incrocio ed infine al rifugio da cui eravamo partiti, scegliendo un’altra soluzione per la giornata.

Monte Treggin (Val di Vara, Liguria)

Le premesse c’erano tutte per fare un bel giro, panoramico ed a tratti adrenalinico per la presenza di roccette e creste, nonostante l’altezza non arrivi nemmeno a 1000 m.

Mai sottovalutare l’Appennino: l’avevamo già imparato mesi fa ma poi ci si dimentica sempre dei pezzi per strada.

Il sentiero inizia dalla piazza di Tassani, un antico borgo di minatori in località Casarza Ligure e fin da subito appare segnalato. Si avanza quindi tra campi ed orti, in breve si dovrebbe arrivare ad un incrocio: Casa Gromolo in un’ora e venti o al Monte Treggin in 1,50 h. Volendo fare l’anello di grande interesse minerario e geologico, superando cave minerarie di ferro e manganese, seguiamo la prima indicazione fino a raggiungere un punto da cui diparte una sterrata.

Se avessimo seguito questa, nel giro di un’ora saremmo giunti all’agriturismo ed avremmo cominciato la salita al monte; tuttavia, avendo scelto una traccia parallela, segnata sull’app perchè già percorsa da qualcuno, abbiamo intrapreso un sentiero ad inizio di facile percorrenza. Si entra prima in una pineta e poi in un fitto bosco. Qui la pendenza del terreno comincia a farsi significativa, resa tale anche da probabili frane e piogge recenti. Dunque, non senza difficoltà, giungiamo ad un punto in cui il sentiero scompare completamente.

Tronchi spezzati e caduti bloccano la strada, impendendo di proseguire e cancellando il percorso.

Cosa si può fare? Aggirare il sentiero è impraticabile vista l’esposizione: tutto quello che si può fare è tornare indietro. Un’ora per raggiungere di nuovo la sterrata ed un’altra per procedere lungo la stessa.

Morale? Abbiamo perso tre ore facendo praticamente tre volte il medesimo tratto. Allo stesso tempo, l’avvicinarsi di nuvoloni bassi e neri non lascia molte scelte: potrebbe essere pericoloso percorrere le roccette della cresta del monte che ci avrebbero atteso in fase di discesa per chiudere l’anello.

Non ci sono alternative: si torna indietro e niente croce di vetta.

Cosa ho imparato e cosa posso mettere in pratica la prossima volta?

La sensazione più brutta che mi è rimasta in entrambi i casi è quella del fallimento.

Non quello di chi affronta i 4000 m ed ha bisogno di finestre di tempo buone in giornate di maltempo. Ma un senso di rabbia e frustrazione per situazioni sicuramente più gestibili ed affrontabili, se ci fosse stata la dovuta cura nella preparazione del percorso.

Se nel primo caso, abbiamo affrontato il secondo giorno sul monte Civetta, con troppa sicurezza e leggerezza come chi il giorno prima si è fatto 20km, 1300m D+ e dunque può far tutto senza leggere le recensioni in anticipo, nell’altro caso imparo che a volte non sempre i sentieri (e le presunte scorciatoie) sono meglio delle noiose sterrate. Dunque, con rammarico, penso che, con una adeguata attenzione e cura dei dettagli e un più sistematico utilizzo delle strade sicure, certe situazioni potevano essere evitate.

Quello che voglio fare è prima di tutto mettere da parte la rabbia per non aver prestato la giusta cura ai dettagli. Secondo: rendermi conto che l’accettazione di queste apparenti sconfitte è il primo passo per il loro superamento.

Forse, a volte, fallire e dover fare un passo indietro aiuta a non abbassare mai la guardia. Serve a rimanere sempre vigili ed attenti, ovunque ci si trovi. Questo vale in montagna tanto quanto nella vita normale.

Che siano Alpi o Appennini, che siano 1000, 2000, 3000 o 4000 metri poco importa: serve testa e preparazione. Mai improvvisare troppo e spingersi oltre le proprie possibilità.

A volte basta poco per fare una stupidaggine: un terreno più fangoso del normale, la presenza di ostacoli imprevisti, stanchezza in più, un meteo non perfetto.

Il sentiero Tivan e il monte Treggin sono due chiari esempi di tanti errori da cui si può imparare molto, pur caratterizzandosi da situazioni ed ambienti completamente diversi, ma non per questo meno ostici.

Ricordate sempre che la sicurezza personale è primaria e va sopra ogni cosa.

In chiusura, raccontami le tue esperienze, se hai avuto una situazione simile e che cosa hai imparato da queste?

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