Il Raja Yoga è visto come la via regale, perchè tutti possono praticarlo: devi solo seguire i passi e la felicità sarà il risultato.
Ci sono solo otto passi, quindi sembra abbastanza semplice ma serve tempo per farli e bisogna continuare a praticare!
Nello yoga, questi passi sono chiamati le 8 membra:
- yama,
- niyama,
- asana,
- pranayama,
- pratyahara,
- dharana,
- dhyana
- samadhi.
I primi due passi, riguardano la consapevolezza, il fatto di vivere una buona vita, fare le cose giuste per evitare il karma negativo e possono essere considerate come un codice etico. Non sono dogmi, non sono regole da rispettare ma sono consigli, perchè seguendo questo codice, raggiungerai la pace interiore che ti serve per cancellare tutte quelle idee che hai su te stesso.
Nello specifico, yama è il modo in cui interagiamo con le persone intorno a noi, mentre niyama riguarda l’autodisciplina.
Gli yama sono 5:
- Ahimsa: significa letteralmente non violenza, non uccidere ma nel significato più ampio significa amore e vivere in armonia.
- Satya: significa sincerità
- Asteya: significa non rubare
- Bramacharya: significa castità
- Aparigraha: significa non possessività
I nyama sono altrettanto molto importanti e sono sempre 5:
- Saucha: significa essere puliti, fuori e dentro. Dobbiamo liberarci dalle tossine facendo asana e pranayama e smettendo anche di assumerle, quindi essere più selettivi con quello che mangiamo.
- Santosha: è un atteggiamento di contentezza: è il bicchiere mezzo pieno! Ci insegna a guardare il lato positivo delle cose.
- Tapas: significa bruciare, soffrire, dissolvere nel fuoco; lo si può tradurre con ardore, zelo. La felicità non è una soluzione rapida e nemmeno lo yoga lo è: è un processo di recupero, mantenimento e miglioramento. Richiede pazienza e disciplina.
- Svadhyaya: è il cuore dello yoga; è la porta che apre i cancelli della felicità! E’ lo studio del sè. Perchè fai quello che fai? Perchè senti quello che senti? Perchè reagisci nel modo in cui reagisci? Ogni cosa che si sente è il risultato di emozioni del passato: se comprendi queste emozioni puoi lasciare andare il passato. Per comprendere le tue emozioni e il tuo comportamento, devi guardarti allo specchio e guardarti dentro.
- Isvari Pranidhana: significa avere fiducia nel divino. Si basa su due importanti pilastri: la modestia e la fiducia. Tutto ciò che accade fa parte di un piano divino.
Per mantenere sano il corpo, gli antichi yogi iniziarono a praticare gli asana, le posizioni di yoga. Infatti la loro invenzione è nata da una pura necessità; mi spiego meglio.
Il primo obiettivo dello yoga era la mente e gli antichi meditavano per ore di fila. Tuttavia, il loro corpo pian piano si deteriorava e loro cominciarono a capire che dovevano prendersi cura anche di quello. Idearono perciò gli asana che hanno tutte molteplici vantaggi; così dovevano fare solo pochi asana per mantenersi in buona forma e potevano tornare subito alla loro pratica di meditazione.
L’errore della nostra società occidentale è che gli asana vengono spesso erroneamente scambiate per yoga e nella maggior parte delle scuole, lo yoga viene insegnato solo come pratica fisica.
Quarto membro è quindi il pranayama, la cui definizione più semplice e frequente è controllo del respiro.
Gli yogi chiamavano l’energia o forza vitale prana, mentre ayama significa estensione o espansione. yama significa controllo. Il pranayama è la chiave per il nostro sistema nervoso: possiamo usare il respiro per passare dalla risposta attacco/fuga a quello modalità relax. Ma per questo punto, andrebbero spese molte più parole anche per introdurre le Nadi, ossia i canali energetici, quindi ne parleremo in una pagina dedicata.
Il pratyahara è la quinta fase della ottuplice via che il saggio Patanjali descrive nei suoi Yoga Sutra. E’ la prima di quelle fasi considerate fra le pratiche più elevate dello yoga: gli asana riusciamo a farli tutti, il pranayama riusciamo a farlo tutti, ma la meditazione richiede dedizione, tapas, zelo.
Pratyahara significa ritiro dei sensi ed è il primo passo verso la meditazione, verso una conoscenza più profonda e una felicità più duratura.
Quanto spesso sei nel presente, davvero presente? E quanto spesso vivi nella tua mente? Quante volte pensi a quello che è successo , alle cose che verranno? La maggior parte delle persone vive nella propria testa, non nella realtà: se la nostra mente non viene mai domata, potrà solo peggiorare. E’ per questo che gli yogi praticano dharana, che tradotto significa “concentrazione su un singolo punto“: è la sesta fase dell’ottuplice via.
Se vogliamo meditare, dobbiamo sederci, portare la mente al Qui ed Ora e su una singola cosa (dharana) e la meditazione accadrà automaticamente. O a volte no. Non possiamo forzarla e non possiamo attivarla al comando. In sanscrito la meditazione è dhyana: è la settima fase dell’ottuplice via.
Tutto questo duro lavoro non l’aveva avvicinato alla risposta alla sofferenza, all’illuminazione, quindi si sedette sotto un albero di Bodhi, un fico sacro, e iniziò a portare l’attenzione alla propria mente e meditare. Seduto in meditazione, veniva tormentato dal re demone Mara che voleva fermare la sua ricerca dell’Illuminazione. Mara mandò sua figlia a sedurre Buddha: questa è la nostra mente che ci gioca degli scherzi, l’ultima lotta del nostro ego che non vuole arrendersi alla nostra anima. Ed ecco che ritorna Svadhyaya, lo studio del sè.
Ma Buddha perseverò: questo è isvara pranidhana, la fede, e questo è tapas, lo zelo.
Rimanendo costante nella sua pratica, Buddha raggiunse l’Illuminazione, la saggezza assoluta, il samadhi.
La ricchezza è la capacità di vivere a pieno la vita
Henry David Thoreau