La vita
Siddharta Gautama Sakyamuni è il nome autentico del più noto pseudonimo di Buddha. Egli nacque nel 536 avanti Cristo ed apparteneva al clan dei Shakya, che era a quel tempo uno stato indipendente situato vicino al confine tra India e Nepal.
La leggenda narra che sua madre, la regina Maya, la notte in cui venne concepito Siddharta ebbe un sogno nel quale vide un elefante trafiggerle il fianco. Un saggio le spiegò il sogno: Buddha sarebbe diventato un grande re o un santo molto saggio, un guaritore. Temendo che il figlio scegliesse la strada della santità, suo padre, il Re Suddhodana decise di tenerlo lontano dagli insegnamenti religiosi e dalle sofferenze del mondo: sarebbe stato circondato solo da gioia e da lusso.
Quando ebbe sedici anni, suo padre organizzò il matrimonio con la cugina Yasodhara, che diede alla luce il loro figlio Rahula. La coppia viveva in tre palazzi, uno per ogni stagione dell’anno.
Quando Buddha ebbe 29 anni, decise di dare un’occhiata al mondo proibito, il mondo che si trovava oltre le mura dei suoi palazzi, ovvero quel mondo in cui suo padre diceva che non doveva andare. Uscì di nascosto e, per la prima volta in vita sua, si trovò di fronte ad anziani, malattie, morti, cadaveri in decomposizione; e per la prima volta, incontrò un asceta.
Buddha fu sconvolto e depresso da ciò che vide fuori dai suoi palazzi e prese la ferma decisione di porre fine alle malattie e alla morte.
Si lasciò alle spalle la sua vita di sfarzi e diventò un asceta, dedicando il suo tempo a trovare le risposte alle grandi domande della vita.
Il principe divenne un mendicante: si recò nella città di Rajagaha, iniziò a chiedere l’elemosina per le strade e si diede alla vita ascetica, una vita priva di piaceri fisici o sensoriali, e di beni materiali. Una vita trascorsa a digiunare e studiare, concentrandosi sulle questioni spirituali; una vita come quella degli asceti più intransigenti, che infliggono dolore al proprio corpo, lo uccidono per liberare l’anima.
Divenne allievo prima di Alara Kalama e in seguito di Udaka Ramaputta, entrambi considerati grandi maestri di meditazione. Questi yogi erano talmente impressionati dal modo in cui egli padroneggiava i loro insegnamenti, che gli chiesero di diventare il loro successore.
Siddharta rifiutò con entrambi, perchè non aveva trovato le risposte che cercava.
Convinto che dhyana (la meditazione) fosse la strada per la felicità, Siddharta continuò a meditare per giorni e giorni. A un certo punto era diventato così debole che una giovane ragazza del villaggio, Sujata, pensò di aver visto uno spirito che veniva da lei per esaudire un suo desiderio: gli offrì del latte e del budino di riso. La compassione e la gentilezza della giovane, lo aiutarono a sopravvivere.
Seduto sotto un albero della Bodhi, Siddharta fece voto di non alzarsi finchè non avesse trovato la verità. Dopo 49 giorni di meditazione, raggiunse l’Illuminazione e divenne noto come il Buddha: il Risvegliato o l’Illuminato.
Le quattro nobili verità
Ciò che divenne chiaro a Buddha nella sua meditazione è conosciuto come le quattro nobili verità.
- La prima verità: la nascita, l’invecchiamento, la malattia e la morte sono sofferenza. La tristezza, la rabbia, la gelosia, la paura, la tensione e la disperazione sono sofferenza. Trovarsi di fronte a qualcosa di spiacevole è sofferenza. La mancanza di amore, la mancanza di piacere è sofferenza. La bramosia e l’avversione sono sofferenza.
- La seconda verità: il motivo della sofferenza sono il desiderio e l’attaccamento. Il desiderio di piaceri sessuali, il desiderio di possedere, il desiderio di diventare. L’attaccamento al piacere, l’attaccamento agli oggetti che possediamo, l’attaccamento a ciò che siamo. Questo desiderio e questo attaccamento sono causati dall’ignoranza, dall’essere ignari della verità, dall’ignorare che i momenti, le cose possedute, i piaceri non durano mai. L’ignoranza causa rabbia, gelosia, tristezza, dolore, disperazione.
- La terza verità: la sofferenza può avere fine solo se ne vengono estirpate le cause. Smetteremo di soffrire solo se mettiamo fine alla nostra ignoranza, solo se iniziamo a capire che ci stiamo attaccando ai nostri possedimenti, alla nostra posizione nella vita, che stiamo desiderando sensazioni, oggetti.
- La quarta verità: per porre fine alla sofferenza, dobbiamo percorrere la strada che porta alla felicità. Dobbiamo arrivare a una chiara comprensione della vita, a formulare i pensieri giusti, pronunciare le parole giuste, agire nel modo giusto, vivere la vita nel modo giusto, metterci l’impegno giusto, avere la consapevolezza giusta e la concentrazione giusta.
Buddismo
Queste quattro verità formano la base del Buddismo, ma anche dello yoga.
Gli yogi considerano Buddha uno di loro, uno dei tanti yogi che ha raggiunto l’illuminazione, la comprensione della vera natura delle cose.
Comprendendo questa vera natura, mise fine alla sua sofferenza e trovò la felicità.
Felicità assoluta: la stessa felicità che tutti stiamo cercando.
La mente è tutto. Ciò che pensi, tu diventi.
Buddha